sabato 30 aprile 2011

BESTIARIO ELETTORALE N.4

Bestiario elettorale n.4

Care lettrici e cari lettori affezionati del bestiario spero davvero non crederete che chi scrive abbia il chiodo fisso. In questo contributo infatti non posso trattenermi dal proporvi una rapida analisi decostruttiva dell’ultimo documento partorito dall’entourage del nostro candidato sindaco Andrea Gnassi. Questo documento per chi non l’avesse visto (beato lui) ha l’insipido titolo “Cultura a Rimini: il cambiamento semplice”.

Perché me la prendo ancora una volta con Gnassi? Per due motivi. Il primo: almeno quest’ultimo, bisogna ben riconoscerglielo, prova a ragionare su alcune importanti questioni che riguardano la città. Gli altri candidati appaiono (almeno per ora) dal primo all’ultimo totalmente ingessati nei loro vuoti slogan elettorali (perché allora perdere tempo e sonno con loro?). Il secondo motivo: questo documento mi preoccupa molto per i suoi contenuti, contenuti che ancora una volta se letti tra le “colte” pieghe del testo, assumono una veste tanto patinata (di banalità) quanto per nulla rassicurante. Cerchiamo dunque di spiegare brevemente e il più chiaramente possibile questa nostra impressione.

In primo luogo in questo documento manca del tutto un’analisi seria dei rapporti tra territorio e cultura. Questo rapporto è strutturalmente (e non solo per Rimini) un rapporto complicato e molto articolato, nel senso che coinvolge necessariamente tutta una serie di dinamiche interne allo sviluppo di ogni specifica realtà locale. Nel documento, in altre parole, si richiama e si denuncia un’interruzione di dialogo tra Amministrazione e arcipelago artistico e creativo (sacrosanta verità) ma non si colgono, a mio parere i veri motivi di questa disconnessione (e come si potrebbe, d’altronde!). Da cosa è dipesa questa interruzione? A mio avviso da una politica di sviluppo economico-culturale della città (nella contemporaneità il nesso tra queste due sfere è praticamente inscindibile) che ha sempre guardato con un occhio di riguardo troppo grande alla rendita privata e alla speculazione mirata a favorire le classi sociali più forti e, diciamo, “tradizionali”. Il territorio e le sue attività di promozione culturale si sono in particolare sempre rivolte alla definizione di eventi (alcuni anche meritori, ci si intenda) che rinunciando a stimolare e nutrire il tessuto creativo della professionalità e del lavoro locale hanno finito per inaridire la sua straordinaria capacità “generativa”. Per essere più chiari? Si sono spesi milioni di Euro per promuovere manifestazioni come il capodanno Rai che non lasciano alla città alcunché sul piano culturale e che da un punto di vista economico (oltre a portare via risorse importanti al sistema di welfare locale, come ci ricorda sempre il nostro candidato sindaco Fabio Pazzaglia) si limitano a distribuire attraverso un meccanismo (tipo mega spot televisivo) sterilizzante una discreta quota di ricchezza alle categorie sociali più avvantaggiate. È davvero accettabile che il paradigma culturale di questa città sia quasi interamente interpretato dall’evento televisivo del capodanno (economicamente ha una rilevanza schiacciante!)? Ma avete visto i personaggi che si agitano a San Silvestro dietro la scritta luminosa e lampeggiante di Rimini? Allucinante! Avete notato la loro pochezza, la loro insignificanza, la loro insopportabilità? Con una cifra molto più piccola sarebbe invece possibile promuovere un evento di ben altro spessore culturale. Capace al contempo di rendere giustizia alla capacità culturale e generativa della città e di produrre anche una vetrina più solida e redistributiva. La nostra proposta è semplice: pensiamo ad un grande festival della cultura mediterranea (sul modello organizzativo del festival della letteratura di Mantova che ha, almeno in origine, prodotto in quella città una straordinaria effervescenza socio-economico-culturale, coinvolgendo ogni anno centinaia di volontari e appassionati), capace al contempo di riportare la barra del timone di Rimini verso una cultura dell’incontro, dell’ospitalità e dell’ascolto dell’altro. Le cose che oggi dopo la speculazione selvaggia del territorio e della cultura degli ultimi dieci anni ci mancano di più. Ma torniamo al documento di Andrea Gnassi. Quali sono i punti più preoccupanti?

Oltre a non discutere mai dell’opportunità di continuare o meno a finanziare i dispendiosi eventi interni al paradigma “capodanno”, assenza a mio avviso significativa anche politicamente, vi è nel documento un evidente eccesso di dirigismo (seppur almeno non pretenda di essere un dirigismo morale! Ci mancherebbe!) e di mercificazione della cultura. Il tutto ben impastato all’interno della pizza della meritocrazia. Ricetta valida per ogni pasto e sbandierata ogni qual volta si tratti di difendere delle posizioni di rendita acquisita. Io che lavoro all’Università la conosco bene la retorica del merito! Il problema è sempre lo stesso (e mai affrontato, quasi sempre evaso): chi e come si stabiliscono e quali sono i criteri del merito? Se non si affronta tale questione, almeno embrionalmente, il merito è davvero un significante vuoto e ideologico. Qui il pezzo di Gnassi è chiarificatore, cito: “Un'amministrazione pubblica dovrebbe prendere per mano i più meritevoli - mettere tutti nelle stesse condizioni di esserlo - e condurli verso i confini dell'eccellenza”. Cosa significa: mettendo tutti nella condizione di essere meritevoli? Da un lato si vuole premiare e quindi differenziare e distinguere (appunto chi è meritevole e chi no...) e poi ci si corregge subito dopo affermando che in ogni caso tutti saranno fatti potenzialmente meritevoli... ! E poi condurli all’eccellenza, condurli? Forse si voleva dire sostenerli fino a... Purtroppo ancora una volta sono le pieghe di un testo a parlare. Condurre è un verbo inappropriato, lasciatemelo dire, che tradisce il forte dirigismo culturale da capodanno che trasuda da questa piattaforma. La cultura non si conduce da nessuna parte (neanche in senso lato), la cultura si auto-genera nel tessuto associativo e sociale quando vengono create e mantenute istituzionalmente le condizioni per la sua libera espressione soggettiva. Altro che meri compiti di coordinamento, informazione e incoraggiamento (altri termini poco convincenti, tra l’altro) di cui si legge subito dopo.

La parte che mi preoccupa di più è quella che riguarda la Casa della Pace. Non viene mai citata direte voi. Appunto. In realtà poi chi conosce la storia più recente di questo straordinario centro di produzione (via solidarietà, condivisione e cultura) del comune, sa quando implicitamente ci si riferisce ad essa. Nel seguente passaggio si intravede la sorte che secondo i nostri amministratori attuali (e in continuità pare anche di Gnassi, ma ogni smentita sarà salutata con giubilo) spetta alla Casa della Pace: “l’estensione degli orari di apertura di Museo, Domus del Chirurgo e Biblioteca in sinergia con la struttura universitaria; la definizione di un innovativo programma di utilizzo commerciale dei brand e degli spazi museali (book shop, coffee shop, nuovi materiali)”. Questo programma di mercificazione (brandizzazione) della cultura locale (che certamente qui non vogliamo demonizzare ma solo ridimensionare) coinvolge anche la Casa della Pace perché nel sito che fisicamente ora occupa è prevista la localizzazione di un book shop (o simili) del museo! Dove tra l’altro pare non ci siano neanche più i soldi per pagare le bravissime guide locali. Sic! Ma non ci vogliamo dilungare su questo aspetto, infatti il prossimo bestiario farà il punto sulla questione centrale, anche dal punto di vista culturale, degli spazi sociali a Rimini.

Manca inoltre nel documento un’analisi seria delle potenzialità del lavoro creativo (leggi anche culturale) riminese. Certo favorire l’impresa più meritevole nel settore è fondamentale ma allo stesso modo a Rimini non si può prescindere dal tutelare, proteggere e favorire la formazione e la qualità del lavoro del loisir, in modo che sia l’intero sistema economico a giovarne. Le condizioni di precarietà e sfruttamento in cui versa una grossa fetta del settore è inaccettabile e va denunciata. Inoltre, a riguardo, noi di fare comune proponiamo che la parte di lungomare che sarà liberata dal traffico e che rientrerà nel progetto di riqualificazione della spiaggia sia destinata a progetti dell’imprenditoria giovanile. Progetti che dovranno essere selezionati e sostenuti attraverso forme creditizie agevolate, via bando pubblico, sulla base di criteri di sostenibilità ambientale, originalità del servizio, e potenzialità lavorativa ed economica, anche in senso redistributivo.

Finisco a partire da qui, commentando un passaggio assai significativo, da un punto di vista della scelta lessicale, della parte finale del documento. Si parla qui di inoculare a Rimini il virus della vivacità. Caro Andrea & Co., la vivacità non si inocula... (il cui significato etimologico è: introdurre artificialmente), non è un prodotto amministrativo e profilattico, essa si genera in virtù della condizioni di possibilità e libertà che un territorio ha di strappare risorse alla rendita privatistica e speculativa per metterle in comune. Questo il punto da cui partire. Il resto altrimenti è, a mio modesto avviso, solo aria fritta.

Federico Chicchi

(candidato Fare comune)

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