sabato 30 aprile 2011

BESTIARIO ELETTORALE N.4

Bestiario elettorale n.4

Care lettrici e cari lettori affezionati del bestiario spero davvero non crederete che chi scrive abbia il chiodo fisso. In questo contributo infatti non posso trattenermi dal proporvi una rapida analisi decostruttiva dell’ultimo documento partorito dall’entourage del nostro candidato sindaco Andrea Gnassi. Questo documento per chi non l’avesse visto (beato lui) ha l’insipido titolo “Cultura a Rimini: il cambiamento semplice”.

Perché me la prendo ancora una volta con Gnassi? Per due motivi. Il primo: almeno quest’ultimo, bisogna ben riconoscerglielo, prova a ragionare su alcune importanti questioni che riguardano la città. Gli altri candidati appaiono (almeno per ora) dal primo all’ultimo totalmente ingessati nei loro vuoti slogan elettorali (perché allora perdere tempo e sonno con loro?). Il secondo motivo: questo documento mi preoccupa molto per i suoi contenuti, contenuti che ancora una volta se letti tra le “colte” pieghe del testo, assumono una veste tanto patinata (di banalità) quanto per nulla rassicurante. Cerchiamo dunque di spiegare brevemente e il più chiaramente possibile questa nostra impressione.

In primo luogo in questo documento manca del tutto un’analisi seria dei rapporti tra territorio e cultura. Questo rapporto è strutturalmente (e non solo per Rimini) un rapporto complicato e molto articolato, nel senso che coinvolge necessariamente tutta una serie di dinamiche interne allo sviluppo di ogni specifica realtà locale. Nel documento, in altre parole, si richiama e si denuncia un’interruzione di dialogo tra Amministrazione e arcipelago artistico e creativo (sacrosanta verità) ma non si colgono, a mio parere i veri motivi di questa disconnessione (e come si potrebbe, d’altronde!). Da cosa è dipesa questa interruzione? A mio avviso da una politica di sviluppo economico-culturale della città (nella contemporaneità il nesso tra queste due sfere è praticamente inscindibile) che ha sempre guardato con un occhio di riguardo troppo grande alla rendita privata e alla speculazione mirata a favorire le classi sociali più forti e, diciamo, “tradizionali”. Il territorio e le sue attività di promozione culturale si sono in particolare sempre rivolte alla definizione di eventi (alcuni anche meritori, ci si intenda) che rinunciando a stimolare e nutrire il tessuto creativo della professionalità e del lavoro locale hanno finito per inaridire la sua straordinaria capacità “generativa”. Per essere più chiari? Si sono spesi milioni di Euro per promuovere manifestazioni come il capodanno Rai che non lasciano alla città alcunché sul piano culturale e che da un punto di vista economico (oltre a portare via risorse importanti al sistema di welfare locale, come ci ricorda sempre il nostro candidato sindaco Fabio Pazzaglia) si limitano a distribuire attraverso un meccanismo (tipo mega spot televisivo) sterilizzante una discreta quota di ricchezza alle categorie sociali più avvantaggiate. È davvero accettabile che il paradigma culturale di questa città sia quasi interamente interpretato dall’evento televisivo del capodanno (economicamente ha una rilevanza schiacciante!)? Ma avete visto i personaggi che si agitano a San Silvestro dietro la scritta luminosa e lampeggiante di Rimini? Allucinante! Avete notato la loro pochezza, la loro insignificanza, la loro insopportabilità? Con una cifra molto più piccola sarebbe invece possibile promuovere un evento di ben altro spessore culturale. Capace al contempo di rendere giustizia alla capacità culturale e generativa della città e di produrre anche una vetrina più solida e redistributiva. La nostra proposta è semplice: pensiamo ad un grande festival della cultura mediterranea (sul modello organizzativo del festival della letteratura di Mantova che ha, almeno in origine, prodotto in quella città una straordinaria effervescenza socio-economico-culturale, coinvolgendo ogni anno centinaia di volontari e appassionati), capace al contempo di riportare la barra del timone di Rimini verso una cultura dell’incontro, dell’ospitalità e dell’ascolto dell’altro. Le cose che oggi dopo la speculazione selvaggia del territorio e della cultura degli ultimi dieci anni ci mancano di più. Ma torniamo al documento di Andrea Gnassi. Quali sono i punti più preoccupanti?

Oltre a non discutere mai dell’opportunità di continuare o meno a finanziare i dispendiosi eventi interni al paradigma “capodanno”, assenza a mio avviso significativa anche politicamente, vi è nel documento un evidente eccesso di dirigismo (seppur almeno non pretenda di essere un dirigismo morale! Ci mancherebbe!) e di mercificazione della cultura. Il tutto ben impastato all’interno della pizza della meritocrazia. Ricetta valida per ogni pasto e sbandierata ogni qual volta si tratti di difendere delle posizioni di rendita acquisita. Io che lavoro all’Università la conosco bene la retorica del merito! Il problema è sempre lo stesso (e mai affrontato, quasi sempre evaso): chi e come si stabiliscono e quali sono i criteri del merito? Se non si affronta tale questione, almeno embrionalmente, il merito è davvero un significante vuoto e ideologico. Qui il pezzo di Gnassi è chiarificatore, cito: “Un'amministrazione pubblica dovrebbe prendere per mano i più meritevoli - mettere tutti nelle stesse condizioni di esserlo - e condurli verso i confini dell'eccellenza”. Cosa significa: mettendo tutti nella condizione di essere meritevoli? Da un lato si vuole premiare e quindi differenziare e distinguere (appunto chi è meritevole e chi no...) e poi ci si corregge subito dopo affermando che in ogni caso tutti saranno fatti potenzialmente meritevoli... ! E poi condurli all’eccellenza, condurli? Forse si voleva dire sostenerli fino a... Purtroppo ancora una volta sono le pieghe di un testo a parlare. Condurre è un verbo inappropriato, lasciatemelo dire, che tradisce il forte dirigismo culturale da capodanno che trasuda da questa piattaforma. La cultura non si conduce da nessuna parte (neanche in senso lato), la cultura si auto-genera nel tessuto associativo e sociale quando vengono create e mantenute istituzionalmente le condizioni per la sua libera espressione soggettiva. Altro che meri compiti di coordinamento, informazione e incoraggiamento (altri termini poco convincenti, tra l’altro) di cui si legge subito dopo.

La parte che mi preoccupa di più è quella che riguarda la Casa della Pace. Non viene mai citata direte voi. Appunto. In realtà poi chi conosce la storia più recente di questo straordinario centro di produzione (via solidarietà, condivisione e cultura) del comune, sa quando implicitamente ci si riferisce ad essa. Nel seguente passaggio si intravede la sorte che secondo i nostri amministratori attuali (e in continuità pare anche di Gnassi, ma ogni smentita sarà salutata con giubilo) spetta alla Casa della Pace: “l’estensione degli orari di apertura di Museo, Domus del Chirurgo e Biblioteca in sinergia con la struttura universitaria; la definizione di un innovativo programma di utilizzo commerciale dei brand e degli spazi museali (book shop, coffee shop, nuovi materiali)”. Questo programma di mercificazione (brandizzazione) della cultura locale (che certamente qui non vogliamo demonizzare ma solo ridimensionare) coinvolge anche la Casa della Pace perché nel sito che fisicamente ora occupa è prevista la localizzazione di un book shop (o simili) del museo! Dove tra l’altro pare non ci siano neanche più i soldi per pagare le bravissime guide locali. Sic! Ma non ci vogliamo dilungare su questo aspetto, infatti il prossimo bestiario farà il punto sulla questione centrale, anche dal punto di vista culturale, degli spazi sociali a Rimini.

Manca inoltre nel documento un’analisi seria delle potenzialità del lavoro creativo (leggi anche culturale) riminese. Certo favorire l’impresa più meritevole nel settore è fondamentale ma allo stesso modo a Rimini non si può prescindere dal tutelare, proteggere e favorire la formazione e la qualità del lavoro del loisir, in modo che sia l’intero sistema economico a giovarne. Le condizioni di precarietà e sfruttamento in cui versa una grossa fetta del settore è inaccettabile e va denunciata. Inoltre, a riguardo, noi di fare comune proponiamo che la parte di lungomare che sarà liberata dal traffico e che rientrerà nel progetto di riqualificazione della spiaggia sia destinata a progetti dell’imprenditoria giovanile. Progetti che dovranno essere selezionati e sostenuti attraverso forme creditizie agevolate, via bando pubblico, sulla base di criteri di sostenibilità ambientale, originalità del servizio, e potenzialità lavorativa ed economica, anche in senso redistributivo.

Finisco a partire da qui, commentando un passaggio assai significativo, da un punto di vista della scelta lessicale, della parte finale del documento. Si parla qui di inoculare a Rimini il virus della vivacità. Caro Andrea & Co., la vivacità non si inocula... (il cui significato etimologico è: introdurre artificialmente), non è un prodotto amministrativo e profilattico, essa si genera in virtù della condizioni di possibilità e libertà che un territorio ha di strappare risorse alla rendita privatistica e speculativa per metterle in comune. Questo il punto da cui partire. Il resto altrimenti è, a mio modesto avviso, solo aria fritta.

Federico Chicchi

(candidato Fare comune)

giovedì 28 aprile 2011

CIE in Basilicata

Coloro che scambiano le rivoluzioni in Maghreb per ondate di clandestini hanno pensato bene di istituire un CIE anche in basilicata!!!!

Facciamo nostro e rilanciamo il seguente appello lanciato da alcune realtà locali:

Anche la basilicata ha il suo CIE!!!!

Invitiamo tutti a mobilitarsi contro questo luogo di detenzione e
lanciamo un appello alle realtà sul territorio per la costruzione di
una assemblea dove decidere ulteriori azioni.

In allegato il comuncato.

A questo link potete firmare la petizione on line:
http://www.petizionionline.it/petizione/no-ai-lager-in-basilicata-chiudiamo-il-cie-di-palazzo-san-gervasio/3993

Antirazziste/i lucani

mercoledì 27 aprile 2011

Tempo di Festa


Prendete l'agenda è segnatevi la data del 30 aprile.
Sabato prossimo, a partire dalle 16,00, la nostra piccola, disorganizzata, libera, giocosa, accanita (volevo dire agguerrita, ma visto che di guerre ne abbiamo fin sopra alla testa, ho cambiato termine) lista si presenta alla città con una bella festa: musica, grigliata, laboratori solari per i bimbi, dimostrazione su come produrre ortaggi sul balcone, scambi di libri (portatene anche voi, altrimenti che si scambia!!!), set fotografico per ritrarti insieme al nostro candidato Sindaco Fabio Pazzaglia.

Dove? Alla Casina di Bellariva, al Parco della Colonia Murri.

Non mancate e portate gente.

ps: se piove, vi ricordo che la Casina ha il tetto.

martedì 26 aprile 2011

BESTIARIO ELETTORALE N.3


Vorrei dedicare una nota del bestiario a una delle manifestazioni più bestiali che le attuali campagne amministrative ci stanno offrendo. Mi riferisco all’utilizzo di stilemi razziali che eravamo in molti a sperare che fossero oramai morti e sepolti. A conferma della tesi secondo cui nessuna lezione della storia può dirsi definitiva, accade che all’inizio del secondo decennio del ventunesimo secolo, nel 2011 per la precisione, appaiano per volontà di una delle forze più propulsive della destra italiana, la Lega Nord, manifesti elettorali dal sapore tristemente nostalgico contenenti richiami espliciti a vecchie teorie della razza. Mi riferisco a quella sfigurata vignetta con la scritta “Indovina che viene ultimo…” in cui sono raffigurati in modo caricaturale quattro spauracchi etnici contemporanei, vale a dire l’“asiatico”, la “zingara” (con tanto di bimbo in fasce), l’“africano” e “l’arabo”, che rubano il posto a un vecchio e a un bambino, la cui espressione dimessa e rassegnata non può che rappresentare un segno di appartenenza alla razza italica. Meglio ai romagnoli.

Da anni Bossi & soci rivendicano con orgoglio un lessico politico sciatto e volgare: spingere al massimo grado questo imbarbarimento linguistico sembra essere per loro il modo più convincente – anche se, in realtà, esclusivamente retorico – per avvicinare le istituzioni politiche alla gente comune. Sarebbe tuttavia sbagliato licenziare questo manifesto come l’ennesima boutade della Lega. O come un semplice tentativo di appellarsi alla pancia anziché alla testa degli elettori. Non si tratta più di liberare il lessico politico da una retorica cifrata e magniloquente, ma piuttosto di prefigurare un quadro politico di tipo nuovo in cui sono contemplate concezioni decisamente forti di razza o etnia. Si badi bene che nemmeno nelle espressioni più torbide rivolte a “terroni”, “zingari” e “clandestini” si è mai tentato di sdoganare quel linguaggio della razza che finora è stato comunemente associato a epoche storiche recenti ma concluse. Il punto è che ci troviamo di fronte non solo e non tanto al culmine negativo dell’immaginario politico contemporaneo, ma al riaffacciarsi di categorie politiche associate ai periodi più bui del Novecento a cui finora la Lega non aveva mai osato fare riferimento. Più che una caduta di stile, insomma, si potrebbe pensare a un sintomo di una cultura politica che va ben al di là i confini del leghismo. E che non a caso affiora in occasione di elezioni amministrative.

È nel governo locale infatti che le categorie politiche della razza vengono riesumate e rese attuali. Diventando immediatamente operative e tangibili, misure disciminatorie sulla base di appartenenza acquisiscono concretezza. Come si è visto, ad esempio, nei commenti dei giorni scorsi apparsi su alcune testate locali riguardo l’assegnazione delle case popolari in cui il maggiore criterio di giudizio risiedeva proprio nelle etnie dei beneficiari e non nella loro condizione socio-economica. È per questo necessario e non banale che la lista civica Fare Comune a sostegno della candidatura di Fabio Pazzaglia mantenga una posizione ferma contro qualsiasi misura amministrativa che tenti di introdurre una discriminazione su base etnica e di denunciare pratiche subdolamente razziste in ambito amministrativo.

Mauro Turrini, candidato lista Fare Comune

25 APRILE FESTA DELLA RESISTENZA - FESTA ANTIFASCISTA - FESTA DELLA DEMOCRAZIA

Il tentativo di Gioenzo Renzi di infangare il 25 aprile e di equiparare repubblichini e partigiani va respinto al mittente con estrema chiarezza. Dopo le sue dichiarazioni se il candidato a sindaco di Pdl e Lega pensava di passarla liscia, si sbaglia di grosso. Il suo rigurgito fascista non si lava nemmeno con una istituzionale candidatura a Sindaco. Inoltre le affermazioni di Renzi gettano una luce sinistra sull'intera coalizione che lo appoggia. Renzi cosi' facendo squalifica l'intero centrodestra.
Spero che nelle prossime ore si alzi la voce di chi, nelle file del centrodestra, sa bene che i repubblichini erano un esercito irregolare, subordinato ai nazisti nei loro crimini. A tale proposito ricordo bene due anni fa la dura opposizione al progetto di legge 1360, che venne poi bloccato, con cui il Governo di centrodestra intendeva equiparare i repubblichini di Salò ai partigiani.
Rigurgiti mai sopiti che ancor oggi, nel 2011, ci portano a dover restare in prima linea nella custodia e nell'attuazione dei valori della Costituzione, quindi della democrazia, e nella promozione della memoria di quella grande stagione di conquista della libertà che fu la Resistenza.
Cinquant'anni sono passati da quando, nel 1961, la città di Rimini fu insignita della Medaglia d'Oro al valor Civile. Il Decreto del Presidente della Repubblica con cui fu conferito alla Città di Rimini l'altissimo riconoscimento è inequivocabile: "Fedele alle sue più nobili tradizioni subiva stoicamente le distruzioni più gravi della guerra e prendeva parte validissima alla lotta di liberazione, attestando, col sacrificio di numerosi suoi figli, la sua purissima fede in una Italia migliore, libera e democratica". Il Consiglio che mi permetto di dare a Renzi è di chiedere scusa immediatamente alla città di Rimini e a tutti i riminesi democratici.

Fabio Pazzaglia

domenica 24 aprile 2011

BESTIARIO ELETTORALE N.2

Bestiario n.2

Il programma di Andrea Gnassi (Pd)

Oggi vorrei cercare di analizzare brevemente il programma elettorale di Andrea Gnassi. Il cosiddetto programma dei trentasei punti. Con una precisa avvertenza metodologica: i programmi non si leggono per quel che dicono ma per quello che non dicono. Nel senso che in linea di massima, come è scontato che sia in una società mediatica, essi indicano, per slogan, alcune direttrici tematiche che hanno il compito non tanto di realizzare un piano per il buon governo ma piuttosto di convincere gli elettori che esiste una strategia di fondo che guida la proposta politica. Ha il compito cioè, e in sintesi, (insieme a tanti altri strumenti) di attirare voti.

Certo un programma elettorale nasconde dei precisi orientamenti politici (che sono prevalentemente taciti ma che è possibile recuperare attraverso il non detto e attraverso i lapsus che il suo testo nasconde) e inoltre a seconda del modo in cui si presenta è possibile considerarlo un programma realistico o un mero slogan elettorale. Per giudicare un programma la lunghezza non conta molto, conta, invece la ratio di fondo che il programma esprime.

Il primo punto del programma di Gnassi è riassumibile in una, a dire il vero poco riuscita, frase ad effetto. Scrivono “i nostri cari amici” del Pd: “A Rimini serve una Casa Comune sempre aperta e non un Palazzo”. Tentativo di gestire il malcontento diffuso verso il Palazzo (definito implicitamente chiuso) che però è sempre stato governato fino a ieri (certo non con molta autonomia) sotto la responsabilità politica dello stesso Gnassi e degli altri organi del Pd locale. Se il Palazzo è rimasto chiuso alla città forse alcune responsabilità sarebbe bene attribuirsele. Oppure no? Poi a cosa rimanda il concetto di Casa Comune? Questo non è chiaro. Certo c’è il tentativo di evocare il senso di agio che si produce in tutti noi con il concetto di casa. Ma in termini pratici aprire il palazzo cosa significa? Se non si esprime in modo tangibile il senso di questa apertura la frase non ha alcun significato politico serio. Pura retorica insomma. Casa comune? Spiegateci cosa significa in termini pratici, please.

Il secondo punto è scritto molto bene. Riguarda il territorio e il rapporto tra le diverse aree della città (la fascia costiera, il centro storico, il territorio al di là della SS16 ‘Adriatica’). In gran parte ciò che viene scritto mi pare condivisibile. Il punto è che ancora una volta non c’è traccia di una reale praticabilità delle proposte. A parte la pedonalizzazione del Ponte di Tiberio. All’inizio si denuncia, con tono morbido, l’assenza di una adeguata porzione verde di città. Ancora una volta non si capisce perché Gnassi non ha mai denunciato, prima di diventare candidato sindaco, il modo in cui lo sviluppo urbano è stato realizzato in questi ultimi anni.... e quindi perché dovrebbe essere lui a farsi garante del cambiamento. Ci indichi, se ci vuole convincere della sua buona fede, circostanziandolo bene, come negli anni passati ha denunciato il modo in cui la città veniva devastata dalla speculazione e dalla immobilità sociale.

Il terzo punto, dedicato al tema del welfare locale, ci dice molte cose. Leggiamolo assieme: “La nostra idea è quella di un welfare locale fondato sui principi dell’universalismo e attento alle fasce deboli e a chi è maggiormente in difficoltà e organizzato su una rete integrata di servizi, sempre più personalizzati e in grado di garantire alla persona la propria sfera di cittadinanza. Un welfare che promuove l’assunzione di responsabilità da parte dei cittadini e incentiva la mobilitazione di risorse familiari e comunitarie nei percorsi di accoglienza, sostegno e cura”. Qui c’è veramente un esemplare esercizio di equilibrismo retorico. In questo passaggio del programma c’è scritto esattamente quello che ciascun elettore da punti di vista diversi vuole poter leggere. Cioè: tutto e il contrario di tutto. Vediamo in che senso. Partiamo dall’universalismo. Che significa? Significa che i servizi devono essere erogati sulla base del bisogno espresso dal destinatario a prescindere dalle sue caratteristiche particolari, individuali e/o sociali che siano. Tutti devono poter fruire del servizio, senza eccezioni. Poi però, a parte un molto di moda richiamo alla personalizzazione del servizio, si dice anche che per strutturare il welfare locale devono essere mobilitate le risorse familiari e comunitarie, che al di là della superficie semantica, significa che una buona parte dei servizi dal comune saranno in realtà esternalizzati e quindi gestiti dalle imprese del cosiddetto terzo settore. Con tutti i rischi di particolarismo e clientelismo che ne derivano. Nella assegnazione prima e nella erogazione del servizio, poi. Inoltre questo comporta il rischio del venir meno di tutta una serie di garanzie sulla qualità del servizio e sulla qualità del rapporto di lavoro che purtroppo sono già note dove questo tipo di procedure sono state diffuse e generalizzate. Tutto questo viene palesato poche righe più in là quando si parla della questione asili nido. Cito: “L’obiettivo è quello di arrivare a una copertura del 30%, attraverso la realizzazione di nidi comunali e maggiore sistematicità nell’incremento del rapporto con il privato convenzionato”. Di per sé niente di male, ma se non ci si pone neanche il problema dei criteri di qualità secondo cui servizi così importanti possano o meno venir esternalizzati la cosa puzza molto e il rischio è che ancora una volta a rimetterci siano i lavoratori e i beneficiari del servizio e che tutto questo venga realizzato con lo scopo di favorire precisi e forti interessi privati, piuttosto che a favorire la cittadinanza. Quali sono questi criteri cui ci si riferisce solo in termini molto generici? Ne vorremmo sapere di più.

Sentite poi cosa si arriva a scrivere più avanti sullo stesso tema (punto 33): “A Reggio Emilia il rapporto fra nidi pubblici e privati è attorno al 50%: a Rimini dobbiamo procedere con lo stesso metodo, attraverso convenzioni con la cooperazione, le parrocchie, le imprese, i luoghi di lavoro, e tutti quelli che hanno a cuore l’educazione”. Personalmente a leggere certe cose resto allibito e preferisco non commentare, altrimenti rischierei una querela. Sull’università il programma è poi di una vaghezza come minimo disarmante. Sentite cosa viene scritto: “ci serve un’università che dia prospettiva ai ragazzi che vi studiano e che non si limiti a sfornare titoli cartacei che non possono essere spesi sul mercato del lavoro”. Era meglio tacere. Non credo sia necessario aggiungere un commento.

Ma la cosa ancor più disarmante e lasciatemelo aggiungere preoccupante, riguarda la parte del programma dedicata al lavoro e all’impresa. Dopo aver sinteticamente analizzato le luci e le ombre del tessuto produttivo locale si chiama in causa il Comune come attore fondamentale di promozione (attraverso l’individuazione di alcune leve, le solite note, da mettere al servizio dell’economia locale) e sostegno della impresa locale. Nessun spunto innovativo, solo alcune cose di buon senso, quelle che compongono la retorica economicistica (sostenibile) più classica. Ma badate bene, e questa è la cosa a mio avviso più grave, non c’è nel programma neanche un accenno al tema del lavoro nero e/o precario, che come ben sappiamo attraversa come un vero e proprio cancro la nostra economia e la nostra vita. Veramente pazzesco che un partito come il Pd, che pretende di avere ancora un legame con la storia del lavoro e delle sue istituzioni di rappresentanza, si dimentichi di scrivere nel programma una riflessione su questo tema (l’unica cosa che si continua a denunciare ossessivamente è il problema dell’abusivismo commerciale in spiaggia! Come se questo fosse il problema dei problemi. Sic!). E soprattutto dopo quello che è successo la scorsa estate in alcuni alberghi della nostra costa. Questa assenza è a mio avviso gravissima. Ma non solo: in modo complementare non c’è nel programma nessun accenno ad un piano di valorizzazione e promozione delle competenze “tecniche” e sociali delle cosiddette professioni del loisir. Competenze straordinarie e uniche nel panorama nazionale che se adeguatamente valorizzate permetterebbero di innescare processi virtuosi di sviluppo, creatività e perequazione sociale. Il lavoro, e quello giovanile soprattutto, viene così lasciato all’umiliazione della precarizzazione e dello sfruttamento. Questa assenza è vergognosa e motivo di grande distanza tra noi di fare comune e questa proposta.

In sintesi e in conclusione mi pare di poter dire che il programma di Andera Gnassi è animato dall’ossessiva preoccupazione del dover mostrare la volontà di cambiare pagina. Si è consapevoli che questi dieci anni di amministrazione non hanno prodotto risultati in termini di benessere e crescita equilibrata. E si vuole dare l’impressione, si vuole convincere l’elettore, che si desidera andare in un’altra direzione. Il problema è che l’assetto del sapere/potere cui si appoggia e guarda questo programma non è molto diverso da quello cui la precedente amministrazione si riferiva. Per cambiare qualsiasi cosa, nel mondo e nella vita in generale, occorre iniziare una profonda analisi critica degli errori (e quando presenti, degli orrori) che si sono più o meno volontariamente prodotti. Occorre indicare cioè con precisione e dettaglio gli errori commessi e prendere in modo chiaro le distanze dai responsabili che li hanno perpetuati. Tutto questo nella campagna elettorale di Andrea Gnassi è assente e dunque il l’impressione e il rischio è che si volti pagina all’interno dello stesso pessimo capitolo.

Federico Chicchi

Candidato lista Fare Comune

venerdì 22 aprile 2011

BESTIARIO ELETTORALE N.1

Inauguriamo oggi qui nel nostro spazio web un punto di osservazione, che aspira ad essere quasi quotidiano, su tutto quello che accade attorno alle oramai imminenti elezioni municipali. Come in tutti i bestiari che si rispettino cercheremo di dire cose serie senza evitare però di sfruttare la portata comunicativa della caricatura, della sagacia e dell’ironia. Credo che ne sentirete delle belle!

Cosa possiamo segnalare oggi? La cosa che mi ha più divertito è stata la dichiarazione (su commissione) dell’illustre Prof. Stefano Zamagni, invitato a parlare del tema della rendita nella nostra città (di cui tra l’altro è originario) per conto della lista “Rimini più” (un nome più bello e originale forse lo si poteva anche trovare, o no?!). L’illustre professore appassionato di economia civile ha infatti in questa occasione dichiarato: “la novità di questa campagna elettorale, indipendentemente dagli esiti, è la lista civica Rimini Più...” Come dire (mi pare): “pur potendo giurare che non prenderà un voto o quasi la lista Rimini Più mi pare innovativa”. Ma innovativa di cosa? Questo è un mistero. La lista è infatti espressione diretta del tradizionale establishment cattolico riminese, e i suoi ispiratori (tra cui l’Onorevole Vichi) di lustri politici ne hanno attraversati oramai parecchi... D’altronde il programma della lista, sicuramente ben scritto e formulato, è un insieme di buoni propositi, triti e ritriti, che non aggiungono alcunché di nuovo alla politica locale. O almeno così mi pare. Insomma un estremismo di centro che galleggia dentro una bolla di riformismo “caritatevole e moderato” che non mi pare davvero poter incidere molto nel seppur triste e molle panorama politico locale.

L’argomento che tiene però banco in questi giorni sui giornali è l’atteggiamento anti cementizio da parte più o meno di tutti i candidati. Atteggiamento che in particolar modo ha avuto come oggetto di sfida il (pessimo, a dir poco) progetto Gecos di riqualificazione del lungomare di Rimini. Il candidato sindaco del Pd Andrea Gnassi si è oramai infatti accodato al candidato Pdl (credo che a questo punto sia definitivamente Renzi) nel ritenere non adeguato alla loro città ideale tale progetto. Gnassi in proposito addirittura si spinge a dire, udite! udite! “Che il presupposto di una riqualificazione non può essere la cementificazione”. Anche Barone (la cui proposta politica, vi dico la verità, tra le tante mi sembra davvero la meno “interessante”, meglio quella di Cingolani, è fuor di dubbio!) che ha presentato giovedì la sua lista di ispirazione finiana, ha invitato ad un più cauto consumo del territorio riminese. Peccato che questo è stato il presupposto più o meno esplicito con cui il partito di Gnassi (e i partiti dell’opposizione che non hanno certo mai ostacolato tale ipertrofica tendenza all’ingrasso, anzi!) ha governato la città e gestito il suo sviluppo negli ultimi dieci anni (è questa innegabile verità, questa consapevolezza e aggiungo questa colpa, che spinge infatti tutti a manifestare ora una decisa presa di distanza). Sfido chiunque a negare l’evidenza e i danni che tale indirizzo ha prodotto sulla città. E allora? Tutti in campagna elettorale a parlar male del nobile cemento... solo che, cari candidati, contro la speculazione del cemento bisogna metterci la faccia! (leggi opporre fatti concreti) non bastano alcuni distinguo o alcuni principi urlati in campagna elettorale. E ad oggi l’unico che ha avuto questo coraggio si chiama Fabio Pazzaglia.

Poi ieri è uscito l’ennesimo sondaggio della voce. Beh! Se i dati fossero confermati, e il congiuntivo è davvero obbligatorio, il nostro caro Fabio sarebbe attorno all’11 per cento dei consensi. Un risultato che sarebbe straordinario e che potrebbe, credo, essere anche migliorato se la nostra lista riuscisse a farsi conoscere meglio. Il problema anche qui è come...? Avete visto le previsioni di spesa del candidato del PD? 126.000 euro, e quelli di Fabio Pazzaglia? 6.000 euro. Sapete cosa significa? Proviamo per spiegarci bene ad usare la metafora di una gara automobilistica. Gnassi si presenta al via alla guida di una Porsche Rosa, Fabio alla guida di una cinquecento usata, dipinta di verde ma con le portiere rosse. Chi vince? Forse Gnassi, ma in politica più ancora che nelle corse automobilistiche conta anche il pilota. Soprattutto quando il circuito è stretto e articolato. E poi se piove.. Vi ricordate Sebastian Vettel a Monza alla guida di una “povera” Toro Rosso....?

Pare che la provincia di Rimini sia una delle tre province italiane più dedite al gioco d’azzardo. Poveri noi! Non è però che almeno questa volta magari l’azzardo riusciamo a spostarlo dalla tavolo della bisca al tavolo della politica? Fare comune vale davvero una grossa puntata.... è una scommessa azzardata? Forse. Ma si può vincere un grosso e appassionante premio. Troviamo il coraggio di cambiare per davvero.

Federico Chicchi

Candidato lista fare comune