martedì 26 aprile 2011

BESTIARIO ELETTORALE N.3


Vorrei dedicare una nota del bestiario a una delle manifestazioni più bestiali che le attuali campagne amministrative ci stanno offrendo. Mi riferisco all’utilizzo di stilemi razziali che eravamo in molti a sperare che fossero oramai morti e sepolti. A conferma della tesi secondo cui nessuna lezione della storia può dirsi definitiva, accade che all’inizio del secondo decennio del ventunesimo secolo, nel 2011 per la precisione, appaiano per volontà di una delle forze più propulsive della destra italiana, la Lega Nord, manifesti elettorali dal sapore tristemente nostalgico contenenti richiami espliciti a vecchie teorie della razza. Mi riferisco a quella sfigurata vignetta con la scritta “Indovina che viene ultimo…” in cui sono raffigurati in modo caricaturale quattro spauracchi etnici contemporanei, vale a dire l’“asiatico”, la “zingara” (con tanto di bimbo in fasce), l’“africano” e “l’arabo”, che rubano il posto a un vecchio e a un bambino, la cui espressione dimessa e rassegnata non può che rappresentare un segno di appartenenza alla razza italica. Meglio ai romagnoli.

Da anni Bossi & soci rivendicano con orgoglio un lessico politico sciatto e volgare: spingere al massimo grado questo imbarbarimento linguistico sembra essere per loro il modo più convincente – anche se, in realtà, esclusivamente retorico – per avvicinare le istituzioni politiche alla gente comune. Sarebbe tuttavia sbagliato licenziare questo manifesto come l’ennesima boutade della Lega. O come un semplice tentativo di appellarsi alla pancia anziché alla testa degli elettori. Non si tratta più di liberare il lessico politico da una retorica cifrata e magniloquente, ma piuttosto di prefigurare un quadro politico di tipo nuovo in cui sono contemplate concezioni decisamente forti di razza o etnia. Si badi bene che nemmeno nelle espressioni più torbide rivolte a “terroni”, “zingari” e “clandestini” si è mai tentato di sdoganare quel linguaggio della razza che finora è stato comunemente associato a epoche storiche recenti ma concluse. Il punto è che ci troviamo di fronte non solo e non tanto al culmine negativo dell’immaginario politico contemporaneo, ma al riaffacciarsi di categorie politiche associate ai periodi più bui del Novecento a cui finora la Lega non aveva mai osato fare riferimento. Più che una caduta di stile, insomma, si potrebbe pensare a un sintomo di una cultura politica che va ben al di là i confini del leghismo. E che non a caso affiora in occasione di elezioni amministrative.

È nel governo locale infatti che le categorie politiche della razza vengono riesumate e rese attuali. Diventando immediatamente operative e tangibili, misure disciminatorie sulla base di appartenenza acquisiscono concretezza. Come si è visto, ad esempio, nei commenti dei giorni scorsi apparsi su alcune testate locali riguardo l’assegnazione delle case popolari in cui il maggiore criterio di giudizio risiedeva proprio nelle etnie dei beneficiari e non nella loro condizione socio-economica. È per questo necessario e non banale che la lista civica Fare Comune a sostegno della candidatura di Fabio Pazzaglia mantenga una posizione ferma contro qualsiasi misura amministrativa che tenti di introdurre una discriminazione su base etnica e di denunciare pratiche subdolamente razziste in ambito amministrativo.

Mauro Turrini, candidato lista Fare Comune

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