domenica 24 aprile 2011

BESTIARIO ELETTORALE N.2

Bestiario n.2

Il programma di Andrea Gnassi (Pd)

Oggi vorrei cercare di analizzare brevemente il programma elettorale di Andrea Gnassi. Il cosiddetto programma dei trentasei punti. Con una precisa avvertenza metodologica: i programmi non si leggono per quel che dicono ma per quello che non dicono. Nel senso che in linea di massima, come è scontato che sia in una società mediatica, essi indicano, per slogan, alcune direttrici tematiche che hanno il compito non tanto di realizzare un piano per il buon governo ma piuttosto di convincere gli elettori che esiste una strategia di fondo che guida la proposta politica. Ha il compito cioè, e in sintesi, (insieme a tanti altri strumenti) di attirare voti.

Certo un programma elettorale nasconde dei precisi orientamenti politici (che sono prevalentemente taciti ma che è possibile recuperare attraverso il non detto e attraverso i lapsus che il suo testo nasconde) e inoltre a seconda del modo in cui si presenta è possibile considerarlo un programma realistico o un mero slogan elettorale. Per giudicare un programma la lunghezza non conta molto, conta, invece la ratio di fondo che il programma esprime.

Il primo punto del programma di Gnassi è riassumibile in una, a dire il vero poco riuscita, frase ad effetto. Scrivono “i nostri cari amici” del Pd: “A Rimini serve una Casa Comune sempre aperta e non un Palazzo”. Tentativo di gestire il malcontento diffuso verso il Palazzo (definito implicitamente chiuso) che però è sempre stato governato fino a ieri (certo non con molta autonomia) sotto la responsabilità politica dello stesso Gnassi e degli altri organi del Pd locale. Se il Palazzo è rimasto chiuso alla città forse alcune responsabilità sarebbe bene attribuirsele. Oppure no? Poi a cosa rimanda il concetto di Casa Comune? Questo non è chiaro. Certo c’è il tentativo di evocare il senso di agio che si produce in tutti noi con il concetto di casa. Ma in termini pratici aprire il palazzo cosa significa? Se non si esprime in modo tangibile il senso di questa apertura la frase non ha alcun significato politico serio. Pura retorica insomma. Casa comune? Spiegateci cosa significa in termini pratici, please.

Il secondo punto è scritto molto bene. Riguarda il territorio e il rapporto tra le diverse aree della città (la fascia costiera, il centro storico, il territorio al di là della SS16 ‘Adriatica’). In gran parte ciò che viene scritto mi pare condivisibile. Il punto è che ancora una volta non c’è traccia di una reale praticabilità delle proposte. A parte la pedonalizzazione del Ponte di Tiberio. All’inizio si denuncia, con tono morbido, l’assenza di una adeguata porzione verde di città. Ancora una volta non si capisce perché Gnassi non ha mai denunciato, prima di diventare candidato sindaco, il modo in cui lo sviluppo urbano è stato realizzato in questi ultimi anni.... e quindi perché dovrebbe essere lui a farsi garante del cambiamento. Ci indichi, se ci vuole convincere della sua buona fede, circostanziandolo bene, come negli anni passati ha denunciato il modo in cui la città veniva devastata dalla speculazione e dalla immobilità sociale.

Il terzo punto, dedicato al tema del welfare locale, ci dice molte cose. Leggiamolo assieme: “La nostra idea è quella di un welfare locale fondato sui principi dell’universalismo e attento alle fasce deboli e a chi è maggiormente in difficoltà e organizzato su una rete integrata di servizi, sempre più personalizzati e in grado di garantire alla persona la propria sfera di cittadinanza. Un welfare che promuove l’assunzione di responsabilità da parte dei cittadini e incentiva la mobilitazione di risorse familiari e comunitarie nei percorsi di accoglienza, sostegno e cura”. Qui c’è veramente un esemplare esercizio di equilibrismo retorico. In questo passaggio del programma c’è scritto esattamente quello che ciascun elettore da punti di vista diversi vuole poter leggere. Cioè: tutto e il contrario di tutto. Vediamo in che senso. Partiamo dall’universalismo. Che significa? Significa che i servizi devono essere erogati sulla base del bisogno espresso dal destinatario a prescindere dalle sue caratteristiche particolari, individuali e/o sociali che siano. Tutti devono poter fruire del servizio, senza eccezioni. Poi però, a parte un molto di moda richiamo alla personalizzazione del servizio, si dice anche che per strutturare il welfare locale devono essere mobilitate le risorse familiari e comunitarie, che al di là della superficie semantica, significa che una buona parte dei servizi dal comune saranno in realtà esternalizzati e quindi gestiti dalle imprese del cosiddetto terzo settore. Con tutti i rischi di particolarismo e clientelismo che ne derivano. Nella assegnazione prima e nella erogazione del servizio, poi. Inoltre questo comporta il rischio del venir meno di tutta una serie di garanzie sulla qualità del servizio e sulla qualità del rapporto di lavoro che purtroppo sono già note dove questo tipo di procedure sono state diffuse e generalizzate. Tutto questo viene palesato poche righe più in là quando si parla della questione asili nido. Cito: “L’obiettivo è quello di arrivare a una copertura del 30%, attraverso la realizzazione di nidi comunali e maggiore sistematicità nell’incremento del rapporto con il privato convenzionato”. Di per sé niente di male, ma se non ci si pone neanche il problema dei criteri di qualità secondo cui servizi così importanti possano o meno venir esternalizzati la cosa puzza molto e il rischio è che ancora una volta a rimetterci siano i lavoratori e i beneficiari del servizio e che tutto questo venga realizzato con lo scopo di favorire precisi e forti interessi privati, piuttosto che a favorire la cittadinanza. Quali sono questi criteri cui ci si riferisce solo in termini molto generici? Ne vorremmo sapere di più.

Sentite poi cosa si arriva a scrivere più avanti sullo stesso tema (punto 33): “A Reggio Emilia il rapporto fra nidi pubblici e privati è attorno al 50%: a Rimini dobbiamo procedere con lo stesso metodo, attraverso convenzioni con la cooperazione, le parrocchie, le imprese, i luoghi di lavoro, e tutti quelli che hanno a cuore l’educazione”. Personalmente a leggere certe cose resto allibito e preferisco non commentare, altrimenti rischierei una querela. Sull’università il programma è poi di una vaghezza come minimo disarmante. Sentite cosa viene scritto: “ci serve un’università che dia prospettiva ai ragazzi che vi studiano e che non si limiti a sfornare titoli cartacei che non possono essere spesi sul mercato del lavoro”. Era meglio tacere. Non credo sia necessario aggiungere un commento.

Ma la cosa ancor più disarmante e lasciatemelo aggiungere preoccupante, riguarda la parte del programma dedicata al lavoro e all’impresa. Dopo aver sinteticamente analizzato le luci e le ombre del tessuto produttivo locale si chiama in causa il Comune come attore fondamentale di promozione (attraverso l’individuazione di alcune leve, le solite note, da mettere al servizio dell’economia locale) e sostegno della impresa locale. Nessun spunto innovativo, solo alcune cose di buon senso, quelle che compongono la retorica economicistica (sostenibile) più classica. Ma badate bene, e questa è la cosa a mio avviso più grave, non c’è nel programma neanche un accenno al tema del lavoro nero e/o precario, che come ben sappiamo attraversa come un vero e proprio cancro la nostra economia e la nostra vita. Veramente pazzesco che un partito come il Pd, che pretende di avere ancora un legame con la storia del lavoro e delle sue istituzioni di rappresentanza, si dimentichi di scrivere nel programma una riflessione su questo tema (l’unica cosa che si continua a denunciare ossessivamente è il problema dell’abusivismo commerciale in spiaggia! Come se questo fosse il problema dei problemi. Sic!). E soprattutto dopo quello che è successo la scorsa estate in alcuni alberghi della nostra costa. Questa assenza è a mio avviso gravissima. Ma non solo: in modo complementare non c’è nel programma nessun accenno ad un piano di valorizzazione e promozione delle competenze “tecniche” e sociali delle cosiddette professioni del loisir. Competenze straordinarie e uniche nel panorama nazionale che se adeguatamente valorizzate permetterebbero di innescare processi virtuosi di sviluppo, creatività e perequazione sociale. Il lavoro, e quello giovanile soprattutto, viene così lasciato all’umiliazione della precarizzazione e dello sfruttamento. Questa assenza è vergognosa e motivo di grande distanza tra noi di fare comune e questa proposta.

In sintesi e in conclusione mi pare di poter dire che il programma di Andera Gnassi è animato dall’ossessiva preoccupazione del dover mostrare la volontà di cambiare pagina. Si è consapevoli che questi dieci anni di amministrazione non hanno prodotto risultati in termini di benessere e crescita equilibrata. E si vuole dare l’impressione, si vuole convincere l’elettore, che si desidera andare in un’altra direzione. Il problema è che l’assetto del sapere/potere cui si appoggia e guarda questo programma non è molto diverso da quello cui la precedente amministrazione si riferiva. Per cambiare qualsiasi cosa, nel mondo e nella vita in generale, occorre iniziare una profonda analisi critica degli errori (e quando presenti, degli orrori) che si sono più o meno volontariamente prodotti. Occorre indicare cioè con precisione e dettaglio gli errori commessi e prendere in modo chiaro le distanze dai responsabili che li hanno perpetuati. Tutto questo nella campagna elettorale di Andrea Gnassi è assente e dunque il l’impressione e il rischio è che si volti pagina all’interno dello stesso pessimo capitolo.

Federico Chicchi

Candidato lista Fare Comune

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